IL PRETORE Ha pronunziato e pubblicato mediante lettura del dispositivo la seguente ordinanza nei confronti di Murciano Michele, nato a Copertino l'8 novembre 1930 ivi residente via L. Da Vinci, 2 e Guerrazzi Francesco, nato a Galatina il 17 febbraio 1942 e residente a Nardo', via Risorgimento n. 14, liberi presenti. Imputati, il Murciano: A) dei reati p. e p. dall'art. 20 lett. C), legge 47/1985, anche in relazione all'art. 1-sexies, legge n. 431/1985, per aver eseguito, sprovvisto della concessione edilizia e dei necessari nulla osta degli enti preposti al vincolo su area, sottoposta al vincolo idrogeologico, paesaggistico e ricompresa nella fascia di 300 metri dal mare, ed avente natura demaniale per circa mq 34.000 in parte destinata a PIP ed in parte a zona agricola di salvaguardia paesistica, opere edili volte alla integrale trasformazione della intera area, demolendo due costruzioni preesistenti, sbancando il piazzale circostante per ampliare il bacino acqueo, realizzando sulla parte nord un molo e numerosi pontili stabilmente infissi e che invadendo anche l'attigua superficie demaniale non in concessione, realizzando ancora una ampia diga frangiflutti in massi calcarei e cemento armato tale da intercludere completamente lo specchio d'acqua sino alla costa a sud, dove veniva sbancato la scogliera realizzando un canale di accesso dell'acqua ed una pista carrabile e ponendo in opera una fila di manufatti in cemento (manovrieri), per l'ulteriore delimitazione dello specchio d'acqua; realizzando altresi' sempre nell'ambito di tale complesso, un vano della lunghezza di mt 4,67 e della larghezza di mt 34, spianando e trasformando con un battuto in tufina una attigua area demaniale di circa mq 6000 realizzandovi un parcheggio. Il tutto in S. Isidoro di Nardo', con permanenza fino al 21 settembre 1992; B) del reato di cui agli artt. 54 e 1161 codice nav. Per aver con la condotta di cui al capo A eseguito innovazioni non autorizzate ed occupazioni di aree eccedenti quella autorizzata del pubblico demanio; in data e luogo di cui sopra; C) del reato di cui all'art. 349, secondo comma, del c.p. per aver violato i sigilli apposti in data 22 giugno 1991 all'atto del sequestro dell'area di cui al capo A, e nella sua qualita' di custode, proseguendo nella abusiva trasformazione edilizia dell'area con la realizzazione del vano di lunghezza di mt 4,67 e larghezza di mt 34. In S. Isidoro di Nardo' il 21 settembre 1992; D) del reato p. e p. dall'art. 635 n. 3 del c.p. per aver danneggiato la pubblica fruibilita' del paesaggio di una zona di rilevante bellezza naturalistica e sottoposta a vincolo paesaggistico e nella fascia di 300 mt dal mare, e con la condotta descritta sub A, sbancando gli scogli circostanti l'area dell'intervento e realizzando con la diga frangiflutti in cemento armato una netta censura nella linearita' del paesaggio nel quale realizzava elementi impropri che ne turbavano la naturale armonia; in data e luogo di cui al capo A. Il Murciano e il Guerrazzi del reato di cui agli artt. 110, 474, 482 del c.p. per aver, in concorso tra loro, il primo nella sua qualita' di amministratore unico della societa' Jolly Mare ed il Guerrazzi nella qualita' di ingegnere progettista, presentato per l'approvazione degli organi competenti in sede comunale e regionale, la documentazione progettuale relativa all'impianto di allevamento ittico del Murciano, ristrutturazione e manutenzione ordinaria degli impianti di acqua coltura e depurazione di molluschi eduli lamellibranchi esistenti in S. Isidoro, indicando falsamente l'intera area di intervento come zona interessata dal PIP laddove la stessa si estendeva invece per una superficie minore di ben mq 7500; il tutto al fine di ottenere una indebita concessione edilizia. In Nardo' il 21 marzo 1991. F A T T O Con decreto del 15 luglio 1993, il s. procuratore della Repubblica presso la pretura circondariale di Lecce disponeva la citazione a giudizio, davanti a questa sezione distaccata di pretura, di Murciano Michele e Guerrazzi Francesco, come sopra generalizzati, per rispondere dei reati di cui in epigrafe. Dopo alcune udienze di intensa istruttoria dibattimentale anche con operazioni peritali, in quella del 28 ottobre dello scorso anno, i difensori dell'imputato Murciano evidenziavano che quest'ultimo, per la parte di costruzione non ricompresa nella concessione per l'esecuzione dei lavori edili - rilasciata in data 8 luglio 1994 dal sindaco del comune di Nardo' - aveva provveduto a presentare istanza di condono ai sensi dell'art. 2, comma 3, del d.-l. 27 settembre 1994, n. 551, versando la somma massima di L. 2.000.000, come da documentazione esibita; ed, in conseguenza, chiedevano la sospensione del presente procedimento. Nelle successive udienze, e con memorie autorizzate, le parti dissertavano adeguatamente, anzitutto, sulla condonabilita' o meno delle opere realizzate dagli imputati, sostenendo la difesa la tesi positiva ed il p.m. quella negativa; cosi' come puo' evincersi dagli atti del procedimento. Quest'ultimo proponeva contestualmente questione di costituzionalita' del c.d. condono edilizio di cui al d.-l. 27 settembre 1994, n. 551 per quanto segue: "omissis .. particolare rilevanza assume nel processo la verifica della legittimita' costituzionale del c.d. condono edilizio. Trattasi in realta' di istituto di clemenza attraverso il quale viene meno, limitatamente a fatti tipici circoscritti in un periodo di tempo anteriore alla sua operativita', la pretesa punitiva dello Stato". Nella sentenza n. 369/1988, la Corte costituzionale aveva detto che tale istituto non puo' essere ricondotto alla figura tipica dell'amnistia condizionata e che introduce una causa atipica di estinzione di reato. Appare pero' che la Corte costituzionale, all'epoca, non esploro' la riconducibilita' del condono alla figura dell'amnistia sottoposta ad obblighi prevista dall'art. 151. Orbene, se si e' di fronte ad una amnistia sottoposta ad obblighi vi e' da rilevare che "il potere di clemenza" sopporta dei limiti e, in primo luogo, quello dell'art. 79 della Costituzione, cosi' come modificato dalla legge cost. n. 1 del 6 marzo 1992. Tale norma impone che l'amnistia sia concessa con legge deliberata a maggioranza dei due terzi dei componenti di ciascuna Camera in ogni suo articolo e nella votazione finale. Quindi, il decreto-legge meglio conosciuto come condono deve ritenersi illegittimo costituzionalmente. Non puo' sostituirsi, alla volonta' di una maggioranza parlamentare qualificata, quella del Governo, espressa dal decreto-legge reiterato. Ne deriverebbe una chiara elusione del dettato costituzionale. La questione di legittimita' costituzionale e' non solo non manifestamente infondata ma anche rilevante. In caso identico, la Corte costituzionale, con sentenza 28-31 marzo 1988, n. 369, ha statuito la rilevanza delle questioni attinenti la costituzionalita', non solo della norma che dispone la sospensione del procedimento, ma anche di tutte quelle norme che risultano intimamente collegate tra loro nell'unico fine di regolamentare il meccanismo procedimentale di sanatoria " ..omissis ..". Il difensore del Murciano chiedeva, invece, che detta questione fosse ritenuta manifestamente infondata, "in quanto la causa estintiva del reato prevista dalla legislazione in materia urbanistica - tra cui il d.-l. n. 551 del 1994 e suc. mod. sopra citato -, non attiene al concetto di amnistia condizionata ne' al condono tecnicamente intesi; trattandosi, invece, di un'ipotesi di estinzione del reato prevista dal legislatore indipendentemente dalla ratio posta a base dei procedimenti di clemenza veri e propri". In subordine, si rimetteva alla decisione di questo pretore per cio' che concerne la fondatezza e la rilevanza della questione, cosi' come prospettata dal p.m. Ritiratosi in camera di consiglio, questo pretore pronunciava l'ordinanza il cui dispositivo veniva letto in udienza, per i seguenti motivi in: D I R I T T O Occorre rilevare che la questione di costituzionalita' sollevata dal p.m. e recepita da questo pretore e' prioritaria, rispetto a tutti gli altri problemi affrontati compiutamente dalle parti; soprattutto in relazione alla condonabilita' o meno delle opere realizzate dall'imputato Murciano. E cio' perche', se la questione stessa risultasse rilevante e non manifestamente infondata e, quindi si giungesse, da parte del Giudice delle leggi ad "abrogare" la normativa del c.d. condono edilizio, conseguenzialmente non avrebbe piu' rilevanza tale problema. Cio' vale, anche, per le richieste subordinate della difesa del Murciano relative alla sospensione del procedimento in attesa della decisione del t.a.r. in seguito al ricorso proposto dallo stesso imputato contro il diniego di sanatoria ex art. 13 della legge n. 47/1985, o sino alla decisione amministrativa sulla domanda di condono ex d.-l. 6 novembre 1994 n. 649; tenendo presente, all'uopo, che il medesimo imputato, nella sua istanza del 24 ottobre 1994 diretta al sindaco di Nardo' - e di cui si e' fatto cenno nella narrativa del fatto - ebbe a chiedere che "ai sensi dell'art. 2, comma 3 del d.-l. 27 settembre 1994, n. 551, l'istanza presentata dal sottoscritto, in data 21 ottobre 1993, in virtu' dell'art. 13 della legge n. 47 del 1985, relativa alla pratica edilizia n. 531 del 1993, sia considerata domanda di concessione in sanatoria per quanto attiene ai lavori abusivi riferentesi alla realizzazione del canale di scambio e relativi lavori in calcestruzzo armato". Per quanto concerne poi, la possibile violazione degli artt. 77 e 87 della Cost., il giudicante deve tener presente anzitutto che il d.-l. n. 649 del 25 novembre 1995 - ora vigente - in sostanza reitera, con modifiche, i dd.-ll. 26 luglio 1994, n. 468 e 27 settembre 1994, n. 551 (decaduti); persistendo tuttavia, i dubbi di costituzionalita' gia' espressi in proposito, in numerosissime ordinanze di rimessione alla Corte costituzionale, rilevabili dalla Gazzetta Ufficiale. All'uopo, e' stato opportunamente rilevato che "la reiterazione dei decreti-legge scaduti e' prassi frequente che, di fatto, prolunga surrettiziamente ed indeterminatamente i termini di decadenza di sessanta giorni previsti dalla Costituzione, con il non secondario effetto di impedire al Parlamento di esercitare al potesta' legislativa che gli compete" (Ord. rimessione Pret. Roma 6 ottobre 1994). Ma, a prescindere da tale pur grave problema, si puo' condividere l'affermazione secondo cui tutti i decreti-legge sopra citati sono palesemente privi del requisito fondamentale richiesto dall'art. 77 della Costituzione e cioe' l'insorgere di circostanze straordinarie di necessita' e di urgenza. Non c'e' bisogno di spendere molte parole per dimostrare, nel caso di specie, la insussistenza di tale presupposto costituzionalmente necessario. Infatti, quella di reintrodurre il condono non e' una scelta determinata dall'insorgere di circostanze od avvenimenti imprevisti, ma semmai dalla verifica di un continuo e progressivo estendersi del fenomeno dell'abusivismo ed anche di preesistenti esigenze finanziarie dello Stato. Se il condono del 1985 venne fatto con una legge (che ebbe una lunga e laboriosa gestazione parlamentare), non si capisce perche' nel 1994 vi dovese essere una straordinaria necessita' ed urgenza di disporlo con decreto-legge. E tanto meno plausibile cio' appare proprio per il fatto che un condono assai ampio vi era gia' stato con la legge del 1985 (le cui pratiche non sono ancora neppure tutte esaurite), per cui l'abusivismo cui si riferisce il nuovo condono e' solo quello (assai piu' limitato) che si e' realizzato in un periodo di tempo abbastanza circoscritto (dal 1983 al 1993). Del resto, un sintomo preciso della sussistenza di una effettiva situazione di necessita' ed urgenza che potesse costituzionalmente giustificare l'adozione del decreto-legge impugnato la si ricava dal suo stesso preambolo. E' noto, infatti, che, proprio per maggiormente garantire il rispetto da parte del Governo della prescrizione dell'art. 77 della Costituzione, l'art. 15, primo comma, della legge n. 400/1988 (Disciplina dell'attivita' di Governo ed ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri) ha stabilito che ogni decreto-legge deve contenere nel preambolo la indicazione delle circostanze straordinarie di necessita' e di urgenza che ne giustificano l'adozione. Orbene, il preambolo del decreto-legge n. 551 - e suc. 649 del 1994 -, al riguardo, si limita a riprenderne il titolo, dicendo soltanto: "Ritenuta la straordinaria necessita' ed urgenza di emanare disposizioni al fine di rilanciare le attivita' economiche e favorire la ripresa delle attivita' imprenditoriali, nonche' per la semplificazione dei procedimenti in materia urbanistico-edilizia omissis. Si tratta, come e' evidente, di una formula stereotipa, che non individua alcuna concreta circostanza straordinaria idonea a giustificare l'emanazione del decreto-legge. Ed, inoltre, cio' che qui piu' conta, i riferimenti contenuti in quella formula (rilancio delle attivita' economiche, ripresa delle attivita' imprenditoriali, ecc.) potranno avere una qualche attinenza ad altre disposizioni del decreto-legge in questione, ma certo non a quelle sul condono edilizio. A meno che non si voglia ritenere (ma e' davvero questo che sottintende il Governo?) che l'annuncio del condono sia di per se' un incentivo a svolgere oggi attivita' abusive dissimulate, da spacciare poi per effettuate prima della data del 31 dicembre 1993. Comunque con possibile violazione degli artt. 77 e 87 della Costituzione" (Ord. di rimes. Regione autonoma della Sardegna del 5 novembre 1994). Per quanto concerne la possibile violazione degli artt. 3, 9 e 79 della Costituzione, il giudicante, dopo un'attenta lettura della sentenza della Corte costituzionale n. 369 del 1988, - di cui si dira' piu' ampiamente in seguito - ritiene di poter condividere completamente quanto osservato in alcune tra le varie ordinanze di rimessione alla stessa Corte, sul tema specifico. All'uopo si e' affermato che: omissis .. "Occorre muovere dal raffronto tra il provvedimento normativo oggi impugnato e quello precedente, cui il medesimo fa integrale rinvio: e' proprio dalla "reviviscenza" dell'istituto contenuto nei capi IV e V della legge n. 47/1985, determinata dal citato rinvio, che si desumono ed evidenziano i contorni ed i contenuti del recente, condono edilizio; contenuti cui deve essere necessariamente attribuita natura "clemenziale". Tanto deriva, infatti, dalla rinnovata attualita' dell'analisi gia' compiuta in merito, proprio dalla Corte costituzionale nella citata sentenza 369/88, ove si afferma che la legge n. 47/1985, pur non potendosi ritenere .. implicante la tipica figura dell'amnistia, di cui all'art. 151 del c.p., costituisce, senza dubbio "specie" d'una generale nozione di "misura di clemenza". Ebbene, non v'e' dubbio neppure che le considerazioni che indussero la Corte a pervenire, allora, ad una tale conclusione, possano oggi essere integralmente applicate al nuovo condono che, si ripete, recepisce pienamente la precedente normativa. Tanto premesso, sembra possibile ravvisare la violazione del dettato dell'art. 79 della Costituzione, come modificato dalla legge costituzionale n. 1/1992, che prevede gli istituti di clemenza, quegli istituti, cioe', che rompano il nesso costante tra reato e punibilita' (sentenza Corte costituzionale cit.). Il presente condono, infatti, verrebbe a determinare detta "rottura" al di fuori dei limiti procedimentali costituzionalmente sanciti per lo scopo, che prevedono l'adozione di un tale provvedimento con legge deliberata a maggioranza dei due terzi dei componenti di ciascuna Camera, in ogni suo articolo e nella votazione finale. (Ord. remis. Pret. Reggio Calabria del 7 novembre 1994). Ne' sembrano poter rivivere le ragioni che, a suo tempo, "giustificarono" la rinuncia dello Stato alla propria potesta' punitiva, ravvisandosi, per contro, la confliggenza del presente "condono" con il dettato fondamentale dell'art. 3 della Costituzione. Infatti, il supremo organo di giustizia, nella sentenza citata, ritenne opportuno tracciare, ribadendoli, i limiti costituzionali "esterni" al potere di emanare provvedimenti di clemenza da parte dello Stato; statuendo che tutte le volte in cui si rompe il nesso costante tra reato e punibilita' e quest'ultima viene utilizzata per fini estranei a quelli relativi alla difesa dei beni tutelati attraverso l'incriminazione penale, tale uso, nell'incidere negativamente sul principio di eguaglianza ex art. 3 della Costituzione, deve trovare la sua giustificazione nel quadro costituzionale che determina il fondamento ed i limiti del potere punitivo dello Stato. Ritenne, quindi, la Corte, di individuare la "giustificazione" di tale dirompente provvedimento di clemenza nell'esigenza di "chiudere con un passato di illegalita' di massa", si da porre, per il futuro, "sicure basi normative (discendenti dalla disciplna organica di cui alla legge n. 47/1985) per la repressione futura di fatti che violano fondamentali esigenze sottese al Governo del territorio, come la sicurezza dell'esercizio dell'iniziativa economica privata, il suo coordinamento a fini sociali, la funzione sociale della proprieta', la tutela del paesaggio e del patrimonio storico ed artistico (art. 9 della Costituzione). E questi beni non potevano essere validamente difesi, per il futuro, se non attraverso la 'cancellazione' del notevole, ingombrante, carico pendente relativo alle passate irregolarita'" (cfr. sentenza Corte cost. cit. in Gazzetta Ufficiale, prima serie speciale, p. 24). Non vi e' dubbio, dunque, che la sola, vera ragione che indusse la Corte costituzionale a respingere le censure di costituzionalita' del condono edilizio di cui alla legge n. 47/1985 fu la eccezionalita' del provvedimento e l'esigenza di chiudere col passato in occasione dell'emanazione di nuova, organica, disciplina legislativa in materia di repressione di illeciti urbanistici ed edilizi. Alla luce di quanto sopra, sembra evidente a questo pretore la confliggenza del provvedimento rimesso oggi al vaglio della suprema Corte delle leggi con quei principi che la stessa ritenne opportuno enunciare, e sottolineare con fermezza, per chiarire le ragioni della propria mancata censura al precedente condono. E' precisamente quella gerarchia di valori che giustifico' l'atto di clemenza di allora ad essere oggi minacciata: allora lo Stato rinuncio' alla propria potesta' punitiva nel nome dei citati valori di tutela dell'ambiente, del patrimonio storico ed artistico, della funzione sociale della proprieta'; la reiterazione del provvedimento oggi, disattende e sovverte radicalmente le limpide indicazioni fornite gia' all'epoca dal Giudice delle leggi. (Ord. rimes. Pret. Reggio Calabria, sez. dist. Bagnara Calabra del 7 novembre 1994). La rilevanza della questione, a parere del giudicante, e' in re ipsa per le ragioni sopra evidenziate. Occorre, rilevare, infine, che il procedimento deve pure sospendersi sia per gli altri reati contestati all'imputato Murciano e non previsti dal c.d. condono edilizio, sia per il reato ascritto congiuntamente allo stesso imputato ed a Guerrazzi Francesco (art. 349 del cod. pen.); cio' per la evidente connessione, sussidiarieta' e conseguenzialita', che, a parere di questo pretore, non consentono una pronuncia autonoma su detti altri reati, prima che la Corte si pronunci sulla prospettata questione di costituzionalita'.